Industria 4.0 ai tempi del Coronavirus: come si organizzano i costruttori di macchine per il packaging

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Continuare a fornire assistenza e manutenzione, in Italia e all’estero, quando anche raggiungere il proprio luogo di lavoro può essere complicato, sembra una sfida a dir poco impossibile. Eppure i produttori italiani di macchine per il packaging, la stampa e il converting (che esportano circa il 60 per cento della loro produzione) stanno riuscendo nell’impresa. Tecnologia all’avanguardia, sensori nei macchinari e soprattutto connessione con e tra le macchine sono l’arma a disposizione dei costruttori italiani contro il Covid-19 e le restrizioni agli spostamenti.

Come sta vivendo il settore l’emergenza Coronavirus
Dai primi dati (in continuo aggiornamento) raccolti attraverso una survey da Acimga, l’associazione di Confindustria che rappresenta i produttori di macchine del packaging, printing e converting, circa due aziende su tre non hanno riscontrato un aumento delle assenze del personale dovuto a malattie, scioperi oppure a causa di difficoltà a raggiungere il posto di lavoro. Mentre quasi 9 aziende su dieci non hanno ricorso alla cassa integrazione. Una percentuale che potrebbe però cambiare se la crisi dovesse prolungarsi (il 50% ha intenzione di ricorrere agli ammortizzatori sociali in tale scenario).

Se il focus viene spostato dal personale alla produzione di macchinari, la situazione cambia. Circa un’azienda su tre ha visto una riduzione della produzione dal 50 al 75%; una su quattro ha un rallentamento che va dal 25 al 50 per cento. Mentre circa una su dieci non ha avuto contraccolpi e una su tre sta vivendo un calo lieve della produzione (da 0 al 25%). Questa apparente contraddizione tra presenza del personale e capacità produttive si spiega con una contrazione delle commesse, la difficoltà di raggiungere i clienti dentro e fuori i confini nazionali, e la riduzione dell’incoming dei compratori dall’estero. In questo scenario, la metà delle aziende sta subendo perdite di fatturato di almeno il 20%, una su quattro ha pochi contraccolpi sul bilancio e il 19% ha invece perdite consistenti (almeno il 50% del fatturato). Una situazione che tutti però vedono in peggioramento in caso di durata trimestrale della crisi (in questo caso il 94% degli intervistati ritiene che avrà perdite che vanno da almeno 20% ad almeno 50% del fatturato).

Aldo Peretti, Presidente di Acimga

“E’ uno scenario difficile – spiega Aldo Peretti – presidente di Acimga. Abbiamo tecnici e venditori bloccati. Fortunatamente molte aziende del settore, già da anni e in ottica di Industria 4.0, si sono attrezzate per fare assistenza da remoto. Molte macchine italiane sono dotate di sensori per monitorarle a distanza e diverse imprese hanno programmi di manutenzione predittiva, per evitare il blocco delle produzioni e intervenire prima del guasto. Grazie a questi servizi riusciamo a garantire che le macchine del packaging non si fermino in caso di problemi. Un servizio che adesso non è solo commerciale, ma quasi sociale. La catena dei rifornimenti del food e dei farmaci non può fermarsi e anche noi dobbiamo fare la nostra parte. Finora, tra l’altro, gli italiani venivano additati come gli untori con i nostri competitor esteri a trarne vantaggio. Adesso che il problema è globale, l’Italia deve uscire quanto prima dalla crisi e mettersi al servizio della filiera in tutto il mondo. Per questo, come Acimga – insieme a Federmacchine e a Confindustria – abbiamo chiesto ai ministeri competenti, appena possibile, di realizzare un lasciapassare medico che certifichi lo stato di buona salute per i nostri tecnici e che sia riconosciuto all’estero. In questo modo, quando (speriamo presto) la curva dei contagi in Italia sarà in discesa e il resto d’Europa sarà ancora nel pieno della crisi, potremo ripartire con l’installazione delle macchine, per ora bloccate, e con l’assistenza in loco, laddove necessaria, all’estero. In questo modo garantiremo che anche altrove la filiera del packaging, adesso più che mai vitale, non si blocchi e ridaremo slancio al settore”.